Il motore d’oriente. Le automobili in Giappone

Prima della seconda guerra mondiale le automobili in Giappone erano sostanzialmente vetture americane: Ford, Chrysler e GM dominavano il mercato grazie a modelli prodotti direttamente in Giappone dalle loro sedi nipponiche.

L’epopea dell’industria automobilistica giapponese inizia nel dopoguerra e tra la fine degli anni sessanta e gli anni ottanta il motore del Sol Levante arriva a conquistare il mercato mondiale.

Le prime vetture giapponesi risentono fortemente, soprattutto nel design, dei modelli europei e americani. Nel 1958 viene lanciata sul mercato giapponese la Subaru 360 che diventa in breve, la vettura di largo consumo più venduta in Giappone. Questa vettura assomiglia in piccole dimensioni alla Volkswagen Maggiolino che negli stessi anni domina il mercato tedesco ed europeo. Un anno prima, nel 1957, era stato lanciato con grande successo il veicolo a tre ruote Daihatsu Midget che prendeva chiaramente ispirazione dall’italiano Ape Piaggio.

I modelli giapponesi iniziano la loro avventura in America e in Europa dagli anni sessanta. Dopo un iniziale divieto di importazione, le macchine giapponesi, entrano ufficialmente in Italia nel 1970, con alcuni modelli di Honda N360.

La Nissan S30, venduta all’estero con il nome di Datsun 240Z, viene prodotta dal 1969 e diventa popolare come macchina sportiva dal costo contenuto e dalle buone prestazioni. Il suo design prende ispirazione dalla Ferrari 250 GTO nei volumi e dalla Jaguar E-Type nella forma , entrambe mitiche vetture sportive degli anni ’60.

Nel 1966 nasce il modello più venduto al mondo: la Toyota Corolla. Con più di 40 milioni di modelli prodotti, la macchina della Toyota ha tutt’oggi questo primato. Il nome deriva dal diminutivo latino di Crown, nome di un altro modello della Toyota, utilizzato soprattutto come taxi in Giappone, Hong Kong e altri paesi dell’Estremo Oriente. Le auto sportive giapponesi hanno attratto compratori occidentali che ne hanno apprezzato sia le caratteristiche che il prezzo accessibile. Famose soprattutto la Mazda MX-5 prodotta dal 1989, chiamata Roadster in Giappone, la più venduta nella storia dell’automobile, e la Toyota MR2 prodotta dal 1984, di cui la seconda versione viene introdotta nel 1989. Questa ha una stretta somiglianza sia con la Ferrari 308 sia con la Ferrari 348. Un caso recente ha visto protagonista una persona che dopo aver acquistato un kit all’estero, ha trasformato esteriormente la sua Toyota MR2 in una Ferrari F430 finendo per venir denunciata per falsificazione. Più che nelle vetture sportive, lo stile giapponese si vede nei kei truck e piccoli van. I più diffusi sono il Suzuki Wagon R, l’automobile più venduta in Giappone dal 1993, anno della sua nascita, la Daihatsu Coo, conosciuta in Europa come Daihatsu Materia e la Nissan Cube prodotta dal 1998. La Cube Z11, seconda versione della Cube, presenta una caratteristica unica nelle vetture di tutto il mondo: l’asimmetria. Il lunotto è infatti allungato sul fianco sinistro e forma una sola grande finestra con la portiera posteriore sinistra. Si tratta di una caratteristica derivata dalla concezione giapponese di fukinsei (asimmetria) che rende questa vettura unica e genuinamente “giapponese”.      

Ma perché i nomi dei modelli più famosi di automobili giapponesi hanno all’estero nomi diversi da quelli che hanno in Giappone? Se fate caso, molte vetture hanno nomi diversi in Asia e all’estero. Questo avviene per una ragione di marketing, e ad esempio in Asia,  la Toyota Yaris è chiamata Vitz, la Nissan Micra è chiamata March.

A proposito, sapete che i taxi giapponesi hanno gli specchietti retrovisori sulla carrozzeria sopra le ruote e non sulle porte?
Le vetture giapponesi degli anni ’50 e ’60 avevano gli specchietti retrovisori sulla carrozzeria. Questi specchietti, chiamati fendā mirā (フェンダー・ミラー) riducono la loro sporgenza ai lati e permettono una visione più ampia durante i sorpassi. Tuttavia per motivi estetici, pian piano anche le macchine giapponesi hanno adottato gli specchietti retrovisori sulla portiera. I taxi ancora no, sia per rispetto della tradizione sia per tutelare la privacy dei clienti i quali non proverebbero il fastidio di sentirsi osservati dal tassista quando esso guarda gli specchi sulle porte. E aggiungo che la porta posteriore dei taxi si apre da sola per un motivo di comodità e cortesia: il tassista in questo modo non deve scendere dalla vettura quando deve aprire la porta al cliente.

Nei furgoncini più vecchi si trova ancora uno specchietto esterno a 45° sopra il lunotto e questo serve per vedere indietro durante il parcheggio, esso sarebbe l’antenato delle moderne telecamere di parcheggio in retromarcia.

Le vetture legano Giappone e Italia: le città di Maranello in Emilia Romagna, dove troviamo la sede della Ferrari, e la città di Sakahogi nella prefettura di Gifu, dove è situata la fabbrica delle vetture Pajero della Mitsubishi hanno siglato un patto di amicizia dal 21 febbraio 2012. Il gemellaggio è sancito anche tra l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato IPSIA A.A. Ferrari di Maranello e il NAC Nakanihon Automotive College di Sakahogi. Ogni anno il sindaco e una rappresentanza della città di Sakahogi visitano Maranello con diversi alunni del NAC, ospitati da famiglie della cittadina emiliana. La prossima visita sarà dal 25 marzo al 2 aprile 2017.

Tra caratteristiche speciali e aneddoti curiosi, le automobili fanno parte integralmente della società del Giappone, un paese che ha saputo distinguersi perfino nell’idea stessa di “autovettura”.

 

Floriano Terrano
Foto:Comune di Maranello

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