Il pianista del buio

Sfruttare i quattro sensi

Scritto da:

Geienneffe Editore s.a.s.

Fabrizio Sandretto: nato il 5 novembre 1980 a Torino, è non vedente dalla nascita. Nel 2010 si è diplomato al Conservatorio “G.F. Ghedini” di Cuneo, dove consegue anche il dottorato in Musicologia, “specialità pianoforte”. Parallelamente allo studio del piano, ha conseguito anche la maturità linguistica (inglese, francese e tedesco) per poi intraprendere lo studio del giapponese e superare il Japanese Language Proficiency Test (JLPT) di livello N3. Attualmente in Italia, si dedica all'attività di pianista. www.fabriziosandretto.it 

Konnichiwa. Dewa, hajimemashou!” (“Buongiorno! Bene, cominciamo!”), mi dice in giapponese. La prima volta che ho incontrato Fabrizio Sandretto, è stato nell’autunno dell’anno scorso, al concerto dell’amicizia organizzato dall’Associazione Giapponese del Nord Italia: aveva catturato la mia attenzione mentre si avvicinava lentamente verso il pianoforte, accompagnato dal presentatore dell’evento. Solo dopo mi ero accorta della sua cecità, ed ero stata colta da una grande emozione. Mentre leggevo il suo profilo accompagnata dalle note dei brani di Brahms e Chopin che stava suonando in quel momento, ho scoperto che aveva superato l’N3. È stato un momento, quello, in cui ho sentito vorticare dentro di me tante emozioni, che oscillavano tra il senso di aspettativa e il vivo interesse nella visione del mondo di Fabrizio.

La musica è mia amica
Unico pianista “concertista” non vedente in Italia, Fabrizio è anche conosciuto con il nome di “Pianista del buio”. È cieco sin dalla nascita e per lui la musica è tutto, non potrebbe mai vivere senza. Le sue emozioni cambiano in maniera molto sottile in base ai brani che ascolta o suona. La musica è la culla di ciò che prova e nei momenti difficili è la folk a tirarlo su di morale. “Io sono solo, ma ho la musica che mi è amica”, mi dice in giapponese.
Per via dell’amore di suo padre per la musica folk, quest’ultima è stata una presenza costante in casa, sin da quando Fabrizio era bambino. Influenzato dal padre, divenne un fan del gruppo folk cileno Inti-Illimani. Nel 1973, il Governo Cileno venne rovesciato da un colpo di stato, proprio nel momento in cui la band stava facendo il suo tour in giro per l’Europa. Fu così che i suoi componenti furono costretti a vivere in esilio in Italia fino al 1988, senza mai poter tornare nella loro terra natia. L’influenza che il gruppo ebbe su Fabrizio fu tale che lui iniziò a studiare flauto.
A dieci anni, sua madre gli regalò una pianola, e Fabrizio subito prese a suonare le canzoni di cantautori italiani, come quelle di Francesco Guccini e di Fabrizio De André, senza aver mai studiato pianoforte. Fu proprio in quel momento che suo padre Ernesto, stupito dal talento del figlio, si rese conto che quella era la sua strada. In bravissimo tempo, l’hobby di Fabrizio nei confronti del pianoforte si trasformò in una vera e propria passione, che lo portò a decidere di dedicarsi alla musica classica e di iscriversi al Conservatorio di Cuneo “Giorgio Federico Ghedini”. A tal proposito, in Piemonte, sua regione di origine, si dice che il Conservatorio di Torino abbia i migliori docenti per gli strumenti a corda, quello di Novara per quelli a fiato e quello di Cuneo, appunto, per quelli a tastiera.  

La musica è un tipo di linguaggio
Al Conservatorio si specializzò in musicologia, per poi conseguire un dottorato presso lo stesso istituto. Il suo interesse, poi, si rivolse anche verso le lingue. Questo perché pensa che la musica e il linguaggio siano la stessa cosa: “Anzi, la musica stessa è un tipo di linguaggio. Nella musica, l’armonia prodotta dalla sovrapposizione dei suoni diventa il fattore decisivo all’interno di un dialogo. In altre parole, si tratta del potere espressivo della musica. Tra i modi di comunicare, non c’è niente che sia più profondo e complesso della musica”, mi racconta. Prova anche un vivo interesse per la fonetica, ovvero lo studio delle espressioni linguistiche e della comunicazione (come vengono prodotti i suoni, come vengono trasmesse le parole e come vengono comprese da chi le ascolta).



Il suo incontro con il Giappone
Fabrizio ha dovuto accettare e adattarsi a una società costruita da persone in grado di vedere ciò che le circonda. Questo vale per la sua vita di tutti i giorni, per la musica, le lingue e tutto il resto. Ha imparato a conoscere a una a una tutte le cose che le persone vedenti considerano la “normalità” all’interno di una realtà che i suoi occhi non possono vedere. Tra l’altro, non ha mai frequentato una scuola per persone affette da disabilità, ma ha sempre studiato presso scuole normali, aiutandosi solo con l’utilizzo del braille.
Un giorno, all’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza di Bologna, incappò in un libro giapponese. Fu proprio così che, leggendo i libri di Tanizaki Junichiro, Kawabata Yasunari, Oe Kenzaburo, Matsuura Rieko, e tanti altri, iniziò a interessarsi alla lingua giapponese, al punto da memorizzare 2500 kanji! Ha superato prima il JLPT di livello N4 e poi l’N3, ma non è tutto: Fabrizio è stato infatti il primo studente non vedente a sostenere l’esame in braille.

Sfruttare al massimo i quattro sensi 
A Fabrizio piace tutto ciò che concerne la musica. Ascolta spesso il min’yō (genere di musica tradizionale giapponese, n.d.t.) e gli shakuhachi (flauto dritto giapponese, realizzato in bambù, n.d.t.). Non essendo in grado di distinguere la luce dal buio, Fabrizio vive in un mondo fatto solo di suoni, sapori, odori e percezioni tattili. Un mondo senza la vista, ma con un modo particolare di vedere comunque le cose. “Lei ha di fronte una persona con un senso in meno, un senso di fondamentale importanza; di conseguenza il mio modo di ‘vedere’ i vari aspetti della vita è molto diverso rispetto a quello di una persona normodotata”. Mi dice inoltre “Se Lei andasse in un pianeta dove gli esseri presenti hanno un senso in più (6), Lei non saprebbe neanche cosa perde, perché quel senso non lo conosce. Questo vale per me in mezzo a tutti i vedenti”.
Lui, senza mai smettere di provare, alla fine è diventato un pianista. “Vedendo cosa può fare un cieco e immaginando quanto abbia dovuto lavorare e impegnarsi per riuscire a esprimere sé stesso attraverso il pianoforte, le persone dovrebbero rendersi conto di quanto sono ‘fortunate per natura’: sarebbe bastato nascere con un senso in meno per vedere la realtà in modo totalmente diverso. In effetti, la ‘gente normale’ dà per scontato che la vita di ognuno sia sempre uguale alla propria ma, purtroppo, non è così. A volte può succedere di trovarsi con qualcosa in meno, e tutta questa ‘scontata normalità’ finisce per non essere più poi così scontata. 
Nei vari libri di giapponese che ho letto, ho trovato un detto che calza a pennello con la mia condizione. Ne ho fatto tesoro e me lo ricorderò per sempre:
Quando nasci, la natura ti dà una valigia, dove dentro ci sono tutte le tue facoltà. Se ti manca qualcosa, fattela bastare.
Direi che questo dice tutto”.
Fabrizio sta davvero sfruttando al massimo ciò che gli è stato dato e ora non solo è un pianista, ma anche un traduttore di inglese, tedesco e giapponese. Molti dei libri che ha tradotto sono stati pubblicati, e il suo sogno è quello di viaggiare per il mondo e suonare il piano. “Spero davvero tanto di poter suonare in Giappone, un giorno”.


Servizio di Natsu Funabashi
Traduzione in italiano: Camilla Troisi
(Articolo pubblicato su Ciao! Journal n.43 maggio/giugno 2023)

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